Da qualche anno a questa parte, ad ondate più o meno regolari, riceviamo notizie riguardo l’avanzare imperterrito dell’intelligenza artificiale. A corredo, accogliamo sempre il gruppo di chi sostiene che “un giorno le macchine non saranno più controllabili e si rivolteranno” e la squadra di chi, nel nome del progresso, continua a lavorare a testa bassa mentre ripete come mantra “la tecnologia non è né buona né cattiva; dipende dall’uso che se ne fa”.

Invece di schierarci da una parte o dall’altra, cercando giustificazioni e motivazioni per tifare a favore o contro questo avanzamento tecnologico, vi propongo un viaggio più sereno ma, a parer mio, più interessante: scopriamo che cosa sia l’intelligenza artificiale e come si possa già trovare nel nostro quotidiano.

Cos’è l’Intelligenza Artificiale?

Partiamo dalla definizione scolastica: secondo il dizionario Merriam-Webster, l’intelligenza artificiale è una branchia dell’informatica che si occupa della simulazione di comportamenti intelligenti nei computer. É la capacità di un macchinario di imitare il comportamento intelligente di un umano. Ah, e giusto per chiarezza, il termine è stato utilizzato per la prima volta nel 1955!

A questo punto mi direte: “Embè, dove sta la notizia?”. Sono certo che, se provaste a fermare dieci persone per strada e chiedeste loro il significato di intelligenza artificiale, pochi di loro includerebbero la parole “imitare” o “simulare” nella definizione. Molti non addetti ai lavori sono convinti che una macchina possa ricevere il dono dell’intelligenza, apprendere e sviluppare abilità come un essere umano. Ovviamente, non è così. Almeno per il momento.

L’intelligenza artificiale consentirà ad una macchina di risolvere problemi, analizzare situazioni ed imparare come affrontarle al meglio, cercando di massimizzare le proprie chance di successo. Tutto ciò però avviene all’interno di limiti ben definiti, stabiliti da chi programma la macchina; nonostante la nostra conoscenza in ambito machine learning, programmazione e statistica cresca esponenzialmente ogni anno, esiste un limite oltre il cui non possiamo spingerci. Di conseguenza, le macchine che programmiamo hanno, quantomeno, i nostri stessi limiti.

Gli albori dell’Intelligenza Artificiale

All’inizio di questa ricerca sulla storia dell’intelligenza artificiale, mai mi sarei immaginato di dover viaggiare così a ritroso nel tempo. Mi ha davvero sbalordito il fatto che i primi studi teorici attorno all’idea di creare una macchina che potesse ragionare risalgano al XIV Secolo. A titolo informativo, il primo a lasciarci testimonianza di questo pensiero è stato Beato Raimondo Lullo, teologo e logico spagnolo.

La prima vera ricerca organizzata e ben finanziata iniziò nel 1956 presso il Dartmouth College di Hanover, in New Hampshire (USA). I primi partecipanti, tutti studenti di MIT e Carnegie Mellon, diventarono a loro volta evangelist e leader di movimenti di ricerca sull’intelligenza artificiale. Le prime applicazioni pratiche? Computer in grado di vincere partite di dama, risolvere e provare teoremi matematici e formare frasi di senso compiuto in Inglese.

Dopo alcuni anni di fermento ed eccitazione, i progressi rallentarono. A causa delle pressioni del Congresso Americano, i fondi dedicati alla ricerca sull’AI vennero destinati a progetti ritenuti più importanti. Fu l’inizio del periodo che gli addetti ai lavori ricordano come “l’Inverno dell’intelligenza artificiale”.

L’Intelligenza Artificiale al Giorno d’oggi

A chi teme l’invasione improvvisa dell’intelligenza artificiale nella nostra vita dico: “Tranquilli, ormai è tardi!”. Senza rendercene conto, utilizziamo prodotti che si basano sull’utilizzo di questa tecnologia ogni giorno. L’esempio più semplice è quello delle “raccomandazioni”: tutti i siti web che ci suggeriscono cosa potrebbe piacerci e cosa è in linea con i nostri gusti utilizzano l’Intelligenza Artificiale, anche se di livello non complesso. Alcuni esempi? I suggerimenti di Amazon su cosa comprare o il “adesso potresti guardare” di Netflix alla fine di una serie TV che hai divorato in un paio di settimane.

Il caso più bizzarro? L’intelligenza artificiale è anche in grado di scrivere! Una delle storie più incredibili a supporto di questa affermazione è quella di Associated Press (AP), una cooperativa colosso dell’informazione indipendente americana. Nel 2013, AP si rende conto che il pubblico americano, e specialmente gli addetti ai lavori del settore finanza ed investimenti, ricercano una  mole enorme di articoli riguardo le quarterly revenues delle aziende americane. I giornalisti di AP, per un mero limite fisico, riescono a scrivere soltanto il 6% del numero totale di articoli che potrebbero essere pubblicati.

Ed è qui che entra in gioco l’intelligenza artificiale: grazie alla collaborazione con due aziende che si occupano di big data, AP sviluppa un sistema automatizzato in grado di scrivere più di 3.000 articoli. All’inizio, ci sono errori, difetti di linguaggio, contenuti molto piatti; nel giro di pochi mesi, il sistema viene perfezionato e, grazie all’implementazioni di alcune best practices e l’integrazione di dichiarazioni più dettagliate scritte dalle aziende stesse, i report diventano sempre più completi ed accurati. * ATTENZIONE: Nessun giornalista è stato maltrattato nell’implementazione di questa tecnologia

 

Qual è l’utilizzo dell’intelligenza artificiale più strambo che tu abbia sentito? Condividilo con noi, scrivendoci qui! Pubblicheremo i più bei risultati nella newsletter di Novembre.